Intervista al giornalista, avvocato, scrittore e attivista Luigi Trisolino
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14/11/2024 | Bookpress
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Luigi Trisolino (Francavilla Fontana, 11 ottobre 1989) ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi Roma Tre, ed è dottore di ricerca in Discipline giuridiche storico-filosofiche, internazionali, sovranazionali e comparate. Ha conseguito il titolo di avvocato nel 2015/16 ed è giornalista iscritto all'Ordine Nazionale dei Giornalisti come pubblicista. È autore di saggi, editoriali e articoli su varie testate nazionali, tra cui monografie di diritto civile, penale, di cultura storico-giuridica e costituzionale e di storia delle istituzioni; ha inoltre scritto articoli e saggi di politica, politologia e società, in cui riflette sull'evoluzione del pensiero e delle metodologie giuridiche e politiche. Tra le sue pubblicazioni si ricordano “La giustizia nella politica: il Senato regio Alta Corte di Giustizia” (Historia et ius, 2024) - gratuitamente scaricabile dal sito istituzionale del Senato della Repubblica, “La diseredazione tra giurisprudenza e problemi operativi - Breve vademecum per gli studenti e per gli operatori del mondo forense e notarile” (Key editore, 2016), “L'abuso d'ufficio. Analisi critica della fattispecie nella visione ordinamentale” (Filodiritto, 2016) e “Testamento e autonomia. Norme, giurisprudenza, critiche dottrinarie e filosofia” (Key editore, 2018). È inoltre autore di poesie e liriche; nel 2010 ha pubblicato per Aletti Editore un romanzo intitolato “Culla sull'oblio”, oltre ad un racconto epistolare intitolato “Stretto nella solita camicia (di forza!)”. Come giornalista e autore politicamente attivo è ideatore nonché curatore della videorubrica “Il Graffio di Trisolino” su L'Opinione. Sul Riformista cura un proprio blog denominato “Il riformismo demolibertario”. Su Affaritaliani.it ha pubblicato video-commenti e articoli su temi di politica, società e attualità.
«Avvocato Luigi Trisolino, vuole gentilmente raccontarci di lei, di cosa si occupa e quali sono le passioni che la animano?»
Orgogliosamente iscritto all'Ordine Nazionale dei Giornalisti, mi occupo di opinionismo e di cultura politica. A parte ho lavorato in studi professionali, ho fatto ricerca accademica sulle radici del garantismo e dello Stato liberale presso università e presso l'Archivio storico del Senato, ho insegnato discipline giuridiche. Ho lavorato in vari enti pubblici e costituzionali curando gli aspetti legali, e ci lavoro tutt'ora. Ho una incurabile ma sana malattia per la politica. Amo scrivere, sia saggi che poesie. Nella mia vita c'è un robusto filo rosso che tiene insieme poesia, politica e diritto. Amo andare agli aperitivi in buona compagnia e fare fughe al mare tra la Puglia, il Lazio e la Toscana, tre regioni dove ho lavorato e che mi ispirano molto. Ma quando c'è un evento politico nei palazzi o nelle piazze si accende in me la fiamma graffiante della vera passione, e non c'è aperitivo che regga di fronte alle vocazioni. Persino durante tanti bagni nei miei adorati mari mi sono ritrovato a sedurre o ad agitare le acque anche con argomentazioni politiche.
«Lei è l'ideatore e il curatore della videorubrica “Il Graffio di Trisolino” sulla testata L'Opinione. Su cosa è incentrato il suo format?»
I superstiziosi dicono che di Venere di Marte non si sposa e non si parte, né si dà principio all'arte. Io invece, da cattivissimo eretico allergico a tutti i “si dice”, martedì 7 novembre 2023 ad un mese esatto dall'abominevole pogrom perpetrato da Hamas contro il popolo ebraico in Israele sono partito con la mia videorubrica “Il Graffio di Trisolino”, sul sito web della testata L'Opinione, dove già da alcuni anni pubblicavo articoli. E così ogni martedì esce un videograffio con cui in pochi minuti invito i volenterosi videospettatori a riflettere su alcune necessità riformiste del nostro tempo, per vivere tutti più liberi e al contempo più sicuri, per edificare un nuovo occidentalismo umanista e demolibertario. La videorubrica “Il Graffio di Trisolino” si schiera contro ogni atteggiamento illiberale o autoritario, ma nello stesso tempo contro ogni comportamento retorico e populisticamente corretto, sui temi della geopolitica e dei diritti.
«Ama definirsi demolibertario, neorepubblicano, patriota italeuropeo e liberale lavorista. Vorrebbe descrivere brevemente cosa significano questi termini per lei?»
Stanco delle solite paludi piatte e sempliciste di un certo liberalismo liberista che ancora gode masturbandosi con la “mano invisibile” di Adam Smith, grande filosofo ed economista settecentesco, ho pensato che occorresse andare oltre. Andare oltre passando da quel liberalismo vecchio al poco responsabile ed egoriferito libertarismo radicale, però, credo che sia una mossa poco equilibrata, inutile. Così per coniugare il mio amore per le libertà individuali ed economiche per tutti, con il mio amore sociale per il benessere popolare e per gli ascensori socioeconomici, ho pensato di unire in un unico termine la sensibilità libertaria più matura con il concetto di demos, di popolo. Popolo e libertà in un'unica parola. Demolibertario. Un neologismo, o come piace dire a me autoironicamente, dato il mio nome, un neoluigismo. La mia radice politica mazziniana ma al passo coi tempi post-contemporanei mi porta a definirmi anche neorepubblicano, un giovane con la rosa e l'edera nel pugno, a volerla dire con i simboli politici della tradizione. La mia voglia di vedere l'Italia come la pioniera dell'Europa liberale e federata, all'insegna di un ordine pubblico occidentale che funga da modello per il sud del mondo e che faccia concorrenza reale alla Cina, alla Russia e agli Emirati Arabi, mi porta a definirmi patriota italeuropeo. Il mio desiderio di vedere nei fatti che l'Italia è una Repubblica democratica fondata non semplicemente sul lavoro ma più precisamente sul lavoro libero e benestante, e non sulle fragilità economiche della maggior parte delle nostre imprese, mi porta a voler liberalizzare i servizi, garantendo ai lavoratori subordinati la partecipazione a piccole quote sui maggiori rendimenti economici. In tal senso sono un riformista liberale e lavorista. Fino ad oggi la retorica ha voluto associare il lavorismo alla spesa pubblica sfrenata e al socialismo statolatrico. Sono maturi i tempi per realizzare un matrimonio popolare tra la visione liberale e la sensibilità lavorista.
«Lei è un attivista politico e sociale, e sin da adolescente si è impegnato in favore di battaglie importanti, dall'eutanasia alla lotta contro i totalitarismi. Qual è stata la causa a cui ha aderito di cui è stato più orgoglioso?»
Dall'appoggio alla comunità iraniana contro il regime talebanocratico all'appoggio al popolo ucraino contro l'imperialismo illibertario di Putin, dalle battaglie sulla libertà di scegliere coscientemente sul proprio corpo quando questo non ti permette più alcuna forma di vitalità alla battaglia contro i bullismi e le irragionevoli discriminazioni, ogni lotta ha in sé l'onere del metterci la faccia in modo chiaro e diplomatico. Ogni vertenza ha in sé l'orgoglio del fare qualcosa che vada al di là dell'orticello della propria esistenza, per connetterci con l'esistenza di altre persone in carne, ossa e spirito. Ma la causa di cui in modo silente sono stato più orgoglioso è stata quella del mio laico banco alimentare con i francescani, nel 2016, e in particolare quando ho dato di mia tasca del cibo a un uomo che in quel momento si trovava in difficoltà. Lo stesso uomo che fino a non molto tempo prima aveva truffato impunemente la mia famiglia firmando un contratto di locazione e facendo entrare in casa di nostra proprietà altre persone, sconosciute e violente, con situazioni di vita litigiose, senza mai pagare e danneggiando i nostri beni. In quel momento io ero chiamato per mia stessa scelta e vocazione a distinguere tra il Luigi Trisolino privato e il Luigi Trisolino che pubblicamente offriva un servizio a una persona tra le varie persone, a prescindere dalle simpatie o antipatie ed a prescindere dal male subìto da quell'uomo. Nel silenzio del mio cuore quella mia capacità di non cadere in personalismi, nonché quella mia forza concreta di mettere da parte l'ego mi ha umilmente inorgoglito. Si può essere rivendicazionista, battagliero e contro il buonisticamente corretto, come me, ma nello stesso tempo razionale e altruista per offrire un servizio al pubblico senza distinzione alcuna.
«Immaginiamo un mondo ideale in cui lei ha la possibilità di determinare il tipo di direzione politica ed economica da dare al nostro Paese. Quali sarebbero le sue decisioni in merito?»
Aumenterei gli strumenti di esercizio delle libertà in vari ambiti, con una simmetrica valorizzazione del principio di responsabilità verso i propri doveri, per tutti. Mi spiego. Abolirei il semplicistico e rigido divieto di cumulare lavori pubblici e attività private, nei casi in cui le attività private non confliggano con i pubblici impieghi statali o regionali o comunali e via dicendo. Oggi chi non soffre questi divieti viene considerato un privilegiato, e invece quel privilegio dovrebbe essere una generalizzata normalità, salvi gli specifici divieti da far rimanere per le ipotesi di conflitti d'interessi o di specifiche incompatibilità strutturali. Ciascuno di noi è padrone del proprio tempo, e se le nuove generazioni professionalmente iperattive e multitasking riescono a gestire diligentemente più attività non in conflitto d'interessi fra di esse, non dovrebbero esserci preclusioni. Le preclusioni irragionevoli e aprioristicamente rigide, non fondate su evidenti ragioni di tutela del buon andamento e dell'imparzialità nella pubblica amministrazione, possono essere superate per perseguire il diritto a guadagnare di più, per tutti, soprattutto in tempi duri di inflazioni e di tassi d'interesse salati sui mutui. Si dovrebbe poter cumulare più attività anche per adempiere pienamente alla propria poliedricità o per realizzare la propria ecletticità di competenze, per calzare meglio a se stessi in società. Poi, non aumenterei eccessivamente la spesa pubblica sprecandola in iniziative che meglio andrebbero gestite da associazioni private. Aumenterei i partenariati pubblico-privati con criteri di meritocrazia e con obiettivi misurabili e performanti, soprattutto nei settori dei servizi d'interesse generale. Esternalizzerei l'Atac di Roma e le aziende che sono nelle mani di Comuni che non riescono a gestire i servizi in modo umano ed efficiente, con il fine di tutelare adeguatamente i lavoratori e gli utenti attraverso clausole contrattuali precise e garantiste, e mandando via dopo cinque o dieci anni quegli affidatari vincitori delle gare pubbliche che alla prova dei fatti non soddisfino le aspettative, volta per volta. Accelererei il dibattito parlamentare per separare quanto prima le carriere della magistratura ordinaria, onde evitare ogni rischio di commistione tra chi giudica e chi svolge funzioni inquirenti-requirenti. Legalizzerei chiaramente la diseredazione dotando il testamento di maggiori perimetri entro cui imprimere le volontà di chi vuole escludere un parente non legittimario dalla propria eredità, realizzando il diritto sostanziale a non amare allo stesso modo tutti i propri parenti per il tempo successivo alla propria morte, quando magari in vita nemmeno ci si salutava. Avvierei il dibattito pubblico sul futuro federale delle nazioni unite d'Europa per pensare già a come potranno conformarsi le dialettiche tra i poteri statali e quelli degli Stati Uniti d'Europa che verranno, per poter fare voce grossa nei commerci con la Cina, la Russia, ma anche con gli stessi nostri amati alleati transatlantici statunitensi, soprattutto nei prossimi tempi in cui con la vittoria di Trump l'eventuale protezionismo economico potrebbe danneggiare a lungo le nostre esportazioni italiane ed europee. Avvierei un processo di integrazione delle politiche comuni di difesa con l'istituzione di un esercito europeo in cui grande ruolo e onore avrebbero i nostri valorosi militari italiani in forza italeuropea. Istituirei delle macroregioni di carattere amministrativo e a costo zero per le tasche degli italiani con il fine di monitorare e implementare la gestione delle risorse pubbliche, contro ogni spreco da parte delle singole regioni per le attività di vasta area sub-statali. Ove possibile e a seconda del tipo di funzioni svolte, libererei il tempo delle lavoratrici e dei lavoratori aumentando la flessibilità oraria e lo smart-working in aziende e pubbliche amministrazioni, evitando inutili protrazioni fisiche in presenza quando una valida alternativa potrebbe essere un lavoro per obiettivi, con la possibilità di dedicarsi maggiormente alle proprie passioni o ad altre attività professionali istituzionalmente non confliggenti. E tanto altro farei, per rendere più libera e più responsabile la vita dei cittadini italiani.
«Ha dichiarato di non tollerare “la retorica del populisticamente corretto”, così come la cancel culture e il radicalismo woke. Vuole spiegarci nel dettaglio questa sua ferma posizione?»
L'Italia è stata per vari anni prigioniera di una mentalità populista secondo cui sarebbe giusto avere un salario garantito a prescindere dal proprio impegno nello studio e nel lavoro, e si sono create situazioni in cui con il reddito di cittadinanza della prima ora grillina le persone meritevoli con titoli di studio elevati sgobbavano negli studi professionali sottopagate o senza compenso alcuno, mentre le persone più furbe senza voglia di costruirsi un profilo professionale percepivano un reddito pubblico che il più delle volte veniva illegalmente cumulato con un salario sommerso a nero. Tutto ciò ci ha fatto ritardare nella crescita come Paese Italia. Sono contro quella retorica populista che è stata senza dubbio anti-popolare, e sono contro quella vulgata populisticamente corretta e corrotta secondo cui chiunque provasse a criticare il reddito di cittadinanza era un pericoloso nemico del popolo. Passando al woke, che tanto va di moda tra molti giovani ma che si sta diffondendo anche tra alcuni maturi, posso dire con cognizione che esso apre una voragine nel bisogno diffuso di spessore all'interno della coscienza politica e dell'opinione pubblica italiane. I radicalismi woke con il loro politicamente corretto e con la loro pan-penalizzazione sociale in chiave vendicativa sono correnti abbastanza giacobine. Il woke in generale semplifica e deforma il dibattito pubblico sulla questione ambientale, su cui invece dobbiamo agire con transizioni energetiche scientificamente sostenibili. Il woke rende retorico anche il dibattito sulla questione della lotta alle iniquità sociali, lotta di per sé giustissima. Mentre nel post-1968 si diffuse un utopismo ideologico, nella nostra èra post-ideologica le chiavi di lettura della retorica giovanile sono talvolta all'acqua di rose. Almeno l'ideologia di allora, sicuramente sbagliata, aveva una coscienza robusta e non acquosa come quella di molti wokisti di oggi. Il woke poi è illiberale nelle sue chiavi di lettura statolatricamente globaliste, che annullano il pluralismo assorbendo le esigenze evolutive delle persone reali negli schemi di astratti enti internazionali dirigisti. Il woke vuole ingenuamente conformizzare le naturali diversità negli stili di vita e negli stili di consumo, considerando le opere industriali come mere nemiche e mai come fonti di ricchezza condivisibile. Le frange più estreme del woke, e quindi i fautori della cosiddetta cultura della cancellazione storica, vogliono eliminare le complessità dei processi storici e dei percorsi di memoria civica su fatti, luoghi e persone. Se la cultura woke è in alcuni casi la figlia ingenua del nichilismo, la cancel culture è proprio la figlia barbara del vuoto.
«Quali sono i suoi cavalli di battaglia come giornalista militante?»
Il primo dei miei cavalli di battaglia come giornalista militante demolibertario è il disvelamento delle retoriche, da qualunque parte esse possano venire, per quel che riguarda i diritti civili, i diritti patrimoniali, il mondo del lavoro privato e pubblico, la pace, il nuovo militarismo europeo per prevenire nonché combattere il terrorismo e il nazislamismo geopolitico che vogliono minare le nostre laiche equità, i nostri valori occidentali e le nostre patrie di libertà civiche ed economiche. Il cavallo di battaglia della mia critica alle retoriche culturali tra le masse radicalizzate, nere o rosse che siano, partorisce ogni altro cavallo di battaglia sui temi di cui vi ho con piacere parlato.
«Lei è molto giovane eppure ha già un notevole background alle spalle. Come si vede da qui a dieci anni? Quali obiettivi spera di aver realizzato?»
La vita è imprevedibile, soprattutto per chi come me non è mai stato predestinato a niente e da niente nonché a nessuno e per nessuno. Non so come vedermi da qui a dieci anni. Una decina di anni fa facevo l'avvocato in studi legali, facevo lo scrittore, facevo l'attivista. Venti anni fa ero un 15enne che aveva fondato un movimento culturale e sociale per la pace e per i diritti, ero un adolescente che organizzava volantinaggi, scriveva su giornali pugliesi, parlava in conferenze e sfilava coi megafoni e col suo giornalino militante in piazza. Amavo. Ecco, spero di amare tra dieci anni. Sempre di più. Quanto agli obiettivi, spero fra dieci anni di avere avuto varie volte la possibilità di dire la mia opinione pubblicamente e a tanta gente, con il perenne intento di dire la mia idea non solo per me ma per il bene di tutti e di ciascuno. Anche con i problemi e gli ostacoli che la mediaticità sui temi più scottanti del nostro tempo potrebbe comportarmi, sono pronto, senza paura di niente. Senza paura di nessuno.
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«Avvocato Luigi Trisolino, vuole gentilmente raccontarci di lei, di cosa si occupa e quali sono le passioni che la animano?»
Orgogliosamente iscritto all'Ordine Nazionale dei Giornalisti, mi occupo di opinionismo e di cultura politica. A parte ho lavorato in studi professionali, ho fatto ricerca accademica sulle radici del garantismo e dello Stato liberale presso università e presso l'Archivio storico del Senato, ho insegnato discipline giuridiche. Ho lavorato in vari enti pubblici e costituzionali curando gli aspetti legali, e ci lavoro tutt'ora. Ho una incurabile ma sana malattia per la politica. Amo scrivere, sia saggi che poesie. Nella mia vita c'è un robusto filo rosso che tiene insieme poesia, politica e diritto. Amo andare agli aperitivi in buona compagnia e fare fughe al mare tra la Puglia, il Lazio e la Toscana, tre regioni dove ho lavorato e che mi ispirano molto. Ma quando c'è un evento politico nei palazzi o nelle piazze si accende in me la fiamma graffiante della vera passione, e non c'è aperitivo che regga di fronte alle vocazioni. Persino durante tanti bagni nei miei adorati mari mi sono ritrovato a sedurre o ad agitare le acque anche con argomentazioni politiche.
«Lei è l'ideatore e il curatore della videorubrica “Il Graffio di Trisolino” sulla testata L'Opinione. Su cosa è incentrato il suo format?»
I superstiziosi dicono che di Venere di Marte non si sposa e non si parte, né si dà principio all'arte. Io invece, da cattivissimo eretico allergico a tutti i “si dice”, martedì 7 novembre 2023 ad un mese esatto dall'abominevole pogrom perpetrato da Hamas contro il popolo ebraico in Israele sono partito con la mia videorubrica “Il Graffio di Trisolino”, sul sito web della testata L'Opinione, dove già da alcuni anni pubblicavo articoli. E così ogni martedì esce un videograffio con cui in pochi minuti invito i volenterosi videospettatori a riflettere su alcune necessità riformiste del nostro tempo, per vivere tutti più liberi e al contempo più sicuri, per edificare un nuovo occidentalismo umanista e demolibertario. La videorubrica “Il Graffio di Trisolino” si schiera contro ogni atteggiamento illiberale o autoritario, ma nello stesso tempo contro ogni comportamento retorico e populisticamente corretto, sui temi della geopolitica e dei diritti.
«Ama definirsi demolibertario, neorepubblicano, patriota italeuropeo e liberale lavorista. Vorrebbe descrivere brevemente cosa significano questi termini per lei?»
Stanco delle solite paludi piatte e sempliciste di un certo liberalismo liberista che ancora gode masturbandosi con la “mano invisibile” di Adam Smith, grande filosofo ed economista settecentesco, ho pensato che occorresse andare oltre. Andare oltre passando da quel liberalismo vecchio al poco responsabile ed egoriferito libertarismo radicale, però, credo che sia una mossa poco equilibrata, inutile. Così per coniugare il mio amore per le libertà individuali ed economiche per tutti, con il mio amore sociale per il benessere popolare e per gli ascensori socioeconomici, ho pensato di unire in un unico termine la sensibilità libertaria più matura con il concetto di demos, di popolo. Popolo e libertà in un'unica parola. Demolibertario. Un neologismo, o come piace dire a me autoironicamente, dato il mio nome, un neoluigismo. La mia radice politica mazziniana ma al passo coi tempi post-contemporanei mi porta a definirmi anche neorepubblicano, un giovane con la rosa e l'edera nel pugno, a volerla dire con i simboli politici della tradizione. La mia voglia di vedere l'Italia come la pioniera dell'Europa liberale e federata, all'insegna di un ordine pubblico occidentale che funga da modello per il sud del mondo e che faccia concorrenza reale alla Cina, alla Russia e agli Emirati Arabi, mi porta a definirmi patriota italeuropeo. Il mio desiderio di vedere nei fatti che l'Italia è una Repubblica democratica fondata non semplicemente sul lavoro ma più precisamente sul lavoro libero e benestante, e non sulle fragilità economiche della maggior parte delle nostre imprese, mi porta a voler liberalizzare i servizi, garantendo ai lavoratori subordinati la partecipazione a piccole quote sui maggiori rendimenti economici. In tal senso sono un riformista liberale e lavorista. Fino ad oggi la retorica ha voluto associare il lavorismo alla spesa pubblica sfrenata e al socialismo statolatrico. Sono maturi i tempi per realizzare un matrimonio popolare tra la visione liberale e la sensibilità lavorista.
«Lei è un attivista politico e sociale, e sin da adolescente si è impegnato in favore di battaglie importanti, dall'eutanasia alla lotta contro i totalitarismi. Qual è stata la causa a cui ha aderito di cui è stato più orgoglioso?»
Dall'appoggio alla comunità iraniana contro il regime talebanocratico all'appoggio al popolo ucraino contro l'imperialismo illibertario di Putin, dalle battaglie sulla libertà di scegliere coscientemente sul proprio corpo quando questo non ti permette più alcuna forma di vitalità alla battaglia contro i bullismi e le irragionevoli discriminazioni, ogni lotta ha in sé l'onere del metterci la faccia in modo chiaro e diplomatico. Ogni vertenza ha in sé l'orgoglio del fare qualcosa che vada al di là dell'orticello della propria esistenza, per connetterci con l'esistenza di altre persone in carne, ossa e spirito. Ma la causa di cui in modo silente sono stato più orgoglioso è stata quella del mio laico banco alimentare con i francescani, nel 2016, e in particolare quando ho dato di mia tasca del cibo a un uomo che in quel momento si trovava in difficoltà. Lo stesso uomo che fino a non molto tempo prima aveva truffato impunemente la mia famiglia firmando un contratto di locazione e facendo entrare in casa di nostra proprietà altre persone, sconosciute e violente, con situazioni di vita litigiose, senza mai pagare e danneggiando i nostri beni. In quel momento io ero chiamato per mia stessa scelta e vocazione a distinguere tra il Luigi Trisolino privato e il Luigi Trisolino che pubblicamente offriva un servizio a una persona tra le varie persone, a prescindere dalle simpatie o antipatie ed a prescindere dal male subìto da quell'uomo. Nel silenzio del mio cuore quella mia capacità di non cadere in personalismi, nonché quella mia forza concreta di mettere da parte l'ego mi ha umilmente inorgoglito. Si può essere rivendicazionista, battagliero e contro il buonisticamente corretto, come me, ma nello stesso tempo razionale e altruista per offrire un servizio al pubblico senza distinzione alcuna.
«Immaginiamo un mondo ideale in cui lei ha la possibilità di determinare il tipo di direzione politica ed economica da dare al nostro Paese. Quali sarebbero le sue decisioni in merito?»
Aumenterei gli strumenti di esercizio delle libertà in vari ambiti, con una simmetrica valorizzazione del principio di responsabilità verso i propri doveri, per tutti. Mi spiego. Abolirei il semplicistico e rigido divieto di cumulare lavori pubblici e attività private, nei casi in cui le attività private non confliggano con i pubblici impieghi statali o regionali o comunali e via dicendo. Oggi chi non soffre questi divieti viene considerato un privilegiato, e invece quel privilegio dovrebbe essere una generalizzata normalità, salvi gli specifici divieti da far rimanere per le ipotesi di conflitti d'interessi o di specifiche incompatibilità strutturali. Ciascuno di noi è padrone del proprio tempo, e se le nuove generazioni professionalmente iperattive e multitasking riescono a gestire diligentemente più attività non in conflitto d'interessi fra di esse, non dovrebbero esserci preclusioni. Le preclusioni irragionevoli e aprioristicamente rigide, non fondate su evidenti ragioni di tutela del buon andamento e dell'imparzialità nella pubblica amministrazione, possono essere superate per perseguire il diritto a guadagnare di più, per tutti, soprattutto in tempi duri di inflazioni e di tassi d'interesse salati sui mutui. Si dovrebbe poter cumulare più attività anche per adempiere pienamente alla propria poliedricità o per realizzare la propria ecletticità di competenze, per calzare meglio a se stessi in società. Poi, non aumenterei eccessivamente la spesa pubblica sprecandola in iniziative che meglio andrebbero gestite da associazioni private. Aumenterei i partenariati pubblico-privati con criteri di meritocrazia e con obiettivi misurabili e performanti, soprattutto nei settori dei servizi d'interesse generale. Esternalizzerei l'Atac di Roma e le aziende che sono nelle mani di Comuni che non riescono a gestire i servizi in modo umano ed efficiente, con il fine di tutelare adeguatamente i lavoratori e gli utenti attraverso clausole contrattuali precise e garantiste, e mandando via dopo cinque o dieci anni quegli affidatari vincitori delle gare pubbliche che alla prova dei fatti non soddisfino le aspettative, volta per volta. Accelererei il dibattito parlamentare per separare quanto prima le carriere della magistratura ordinaria, onde evitare ogni rischio di commistione tra chi giudica e chi svolge funzioni inquirenti-requirenti. Legalizzerei chiaramente la diseredazione dotando il testamento di maggiori perimetri entro cui imprimere le volontà di chi vuole escludere un parente non legittimario dalla propria eredità, realizzando il diritto sostanziale a non amare allo stesso modo tutti i propri parenti per il tempo successivo alla propria morte, quando magari in vita nemmeno ci si salutava. Avvierei il dibattito pubblico sul futuro federale delle nazioni unite d'Europa per pensare già a come potranno conformarsi le dialettiche tra i poteri statali e quelli degli Stati Uniti d'Europa che verranno, per poter fare voce grossa nei commerci con la Cina, la Russia, ma anche con gli stessi nostri amati alleati transatlantici statunitensi, soprattutto nei prossimi tempi in cui con la vittoria di Trump l'eventuale protezionismo economico potrebbe danneggiare a lungo le nostre esportazioni italiane ed europee. Avvierei un processo di integrazione delle politiche comuni di difesa con l'istituzione di un esercito europeo in cui grande ruolo e onore avrebbero i nostri valorosi militari italiani in forza italeuropea. Istituirei delle macroregioni di carattere amministrativo e a costo zero per le tasche degli italiani con il fine di monitorare e implementare la gestione delle risorse pubbliche, contro ogni spreco da parte delle singole regioni per le attività di vasta area sub-statali. Ove possibile e a seconda del tipo di funzioni svolte, libererei il tempo delle lavoratrici e dei lavoratori aumentando la flessibilità oraria e lo smart-working in aziende e pubbliche amministrazioni, evitando inutili protrazioni fisiche in presenza quando una valida alternativa potrebbe essere un lavoro per obiettivi, con la possibilità di dedicarsi maggiormente alle proprie passioni o ad altre attività professionali istituzionalmente non confliggenti. E tanto altro farei, per rendere più libera e più responsabile la vita dei cittadini italiani.
«Ha dichiarato di non tollerare “la retorica del populisticamente corretto”, così come la cancel culture e il radicalismo woke. Vuole spiegarci nel dettaglio questa sua ferma posizione?»
L'Italia è stata per vari anni prigioniera di una mentalità populista secondo cui sarebbe giusto avere un salario garantito a prescindere dal proprio impegno nello studio e nel lavoro, e si sono create situazioni in cui con il reddito di cittadinanza della prima ora grillina le persone meritevoli con titoli di studio elevati sgobbavano negli studi professionali sottopagate o senza compenso alcuno, mentre le persone più furbe senza voglia di costruirsi un profilo professionale percepivano un reddito pubblico che il più delle volte veniva illegalmente cumulato con un salario sommerso a nero. Tutto ciò ci ha fatto ritardare nella crescita come Paese Italia. Sono contro quella retorica populista che è stata senza dubbio anti-popolare, e sono contro quella vulgata populisticamente corretta e corrotta secondo cui chiunque provasse a criticare il reddito di cittadinanza era un pericoloso nemico del popolo. Passando al woke, che tanto va di moda tra molti giovani ma che si sta diffondendo anche tra alcuni maturi, posso dire con cognizione che esso apre una voragine nel bisogno diffuso di spessore all'interno della coscienza politica e dell'opinione pubblica italiane. I radicalismi woke con il loro politicamente corretto e con la loro pan-penalizzazione sociale in chiave vendicativa sono correnti abbastanza giacobine. Il woke in generale semplifica e deforma il dibattito pubblico sulla questione ambientale, su cui invece dobbiamo agire con transizioni energetiche scientificamente sostenibili. Il woke rende retorico anche il dibattito sulla questione della lotta alle iniquità sociali, lotta di per sé giustissima. Mentre nel post-1968 si diffuse un utopismo ideologico, nella nostra èra post-ideologica le chiavi di lettura della retorica giovanile sono talvolta all'acqua di rose. Almeno l'ideologia di allora, sicuramente sbagliata, aveva una coscienza robusta e non acquosa come quella di molti wokisti di oggi. Il woke poi è illiberale nelle sue chiavi di lettura statolatricamente globaliste, che annullano il pluralismo assorbendo le esigenze evolutive delle persone reali negli schemi di astratti enti internazionali dirigisti. Il woke vuole ingenuamente conformizzare le naturali diversità negli stili di vita e negli stili di consumo, considerando le opere industriali come mere nemiche e mai come fonti di ricchezza condivisibile. Le frange più estreme del woke, e quindi i fautori della cosiddetta cultura della cancellazione storica, vogliono eliminare le complessità dei processi storici e dei percorsi di memoria civica su fatti, luoghi e persone. Se la cultura woke è in alcuni casi la figlia ingenua del nichilismo, la cancel culture è proprio la figlia barbara del vuoto.
«Quali sono i suoi cavalli di battaglia come giornalista militante?»
Il primo dei miei cavalli di battaglia come giornalista militante demolibertario è il disvelamento delle retoriche, da qualunque parte esse possano venire, per quel che riguarda i diritti civili, i diritti patrimoniali, il mondo del lavoro privato e pubblico, la pace, il nuovo militarismo europeo per prevenire nonché combattere il terrorismo e il nazislamismo geopolitico che vogliono minare le nostre laiche equità, i nostri valori occidentali e le nostre patrie di libertà civiche ed economiche. Il cavallo di battaglia della mia critica alle retoriche culturali tra le masse radicalizzate, nere o rosse che siano, partorisce ogni altro cavallo di battaglia sui temi di cui vi ho con piacere parlato.
«Lei è molto giovane eppure ha già un notevole background alle spalle. Come si vede da qui a dieci anni? Quali obiettivi spera di aver realizzato?»
La vita è imprevedibile, soprattutto per chi come me non è mai stato predestinato a niente e da niente nonché a nessuno e per nessuno. Non so come vedermi da qui a dieci anni. Una decina di anni fa facevo l'avvocato in studi legali, facevo lo scrittore, facevo l'attivista. Venti anni fa ero un 15enne che aveva fondato un movimento culturale e sociale per la pace e per i diritti, ero un adolescente che organizzava volantinaggi, scriveva su giornali pugliesi, parlava in conferenze e sfilava coi megafoni e col suo giornalino militante in piazza. Amavo. Ecco, spero di amare tra dieci anni. Sempre di più. Quanto agli obiettivi, spero fra dieci anni di avere avuto varie volte la possibilità di dire la mia opinione pubblicamente e a tanta gente, con il perenne intento di dire la mia idea non solo per me ma per il bene di tutti e di ciascuno. Anche con i problemi e gli ostacoli che la mediaticità sui temi più scottanti del nostro tempo potrebbe comportarmi, sono pronto, senza paura di niente. Senza paura di nessuno.
Contatti
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Intervista al regista Fabio Cento in merito al suo cortometraggio “NAKAY: Gold & Blood”
19/09/2024 | Bookpress
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